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07 giugno 2021

Diritto del Lavoro e delle Relazioni Industriali

Licenziamento dei dirigenti in epoca di Covid: seconda puntata

Paola Polliani, HR OnLine, 11-2021

Continua a far discutere l'applicabilità o meno ai Dirigenti del "divieto di licenziamenti" introdotto originariamente con l'art. 46 del Decreto Legge n. 18/2020 (cd. "Cura Italia") e successivamente più volte prorogato, da ultimo attraverso il regime della proroga in due tempi, fino al 30 giugno 2021 oppure fino al 31 ottobre 2021, stabilito dal D.L. n. 41/2021 in stretta correlazione con la natura e tipologia di ammortizzatori sociali cui le singole imprese potranno aver accesso.

Sul punto, a pochi giorni dal commento dell'ordinanza del Tribunale di Roma, Sez. Lavoro, dott. Conte, del 26 febbraio 2021, con cui il Giudice capitolino aveva ritenuto applicabile anche ai dirigenti la disciplina dettata dal Decreto cd. "Cura Italia" in tema di "divieto di licenziamenti", essenzialmente per ragioni di eguaglianza e solidarietà sociale, sempre il Tribunale di Roma, per opera di altro Giudice, il Dott. Massimo Pagliarini, con sentenza n. 3605 del 19 aprile 2021 ha assunto una posizione esattamente opposta, affermando la non applicabilità ai Dirigenti del "divieto di licenziamenti", per due ordini di motivi.

Il primo motivo è di natura squisitamente formale e relativo, cioè, alla lettera della norma di cui al Decreto cd. "Cura Italia". Il secondo, invece, attinente allo spirito, cioè alla ratio della norma in questione. Il Giudice, con il provvedimento emesso lo scorso 19 aprile 2021, ha, infatti, evidenziato come il testo dell'art. 46 del Decreto cd. "Cura Italia" avesse stabilito "[...] che il datore di lavoro, indipendentemente dal numero dei dipendenti, non possa recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell'art. 3 della legge 604/66, disposizione quest'ultima che pacificamente non si applica ai dirigenti sia per espressa previsione normativa (cfr. il successivo art. 10) sia per consolidato principio giurisprudenziale (per tutte, Cass. 2.10.2018, n. 23894 e Cass. 26.10.2018, n. 27199)".

Secondo la pronuncia in questione, l'esclusione dei Dirigenti dall'applicabilità del "divieto" in esame sarebbe maggiormente "coerente con lo spirito che sorregge l'eccezionale ed emergenziale previsione del blocco dei licenziamenti durante la pandemia. Il blocco infatti è stato accompagnato da una pressochè generalizzata possibilità per le aziende, anche quelle piccole, di ricorrere agli ammortizzatori sociali, con la conseguenza che la cassa integrazione, estesa come detto a tutte le aziende, ha consentito a queste ultime di tamponare le perdite (attraverso una riduzione del costo del lavoro), permettendo la tutela occupazionale dei lavoratori, anche a fronte del blocco dei licenziamenti".

La motivazione si basa sulla sussistenza di una vera e propria "simmetria" tra il costo del lavoro rimasto a carico delle aziende con il blocco dei licenziamenti e il "soccorso della collettività generale (attraverso gli ammortizzatori sociali)", un rapporto di corrispondenza che si sarebbe palesato con evidenza soprattutto nella speciale previsione dell'art. 46 comma 1 - bis del già citato Decreto cd. "Cura Italia", secondo la quale "anche i licenziamenti per motivo oggettivo ex art. 3 legge n. 604/66, già intimati prima del blocco (dal 23.02.2020), possono essere revocati dal datore di lavoro purchè contestualmente quest'ultimo faccia richiesta del trattamento di cassa integrazione salariale".

Tale simmetria non sarebbe, quindi, compatibile con la categoria dei Dirigenti che, come noto, non fruisce di ammortizzatori sociali in costanza di rapporto. La conseguenza più immediata di ciò, come sottolineato nel provvedimento, risiede nel fatto che "della categoria dei dirigenti dovrebbe necessariamente farsene carico il datore di lavoro, pur in presenza di motivi tali da configurare un'ipotesi di giustificatezza del recesso. E ciò potrebbe determinare un profilo di incoerenza costituzionale tra estensione del blocco ai dirigenti e principio di libertà economica".

La logica che anima la sentenza in commento pare, del resto, aver trovato conferma anche nella recente introduzione, con il D.L. n. 41/2021, del regime della proroga del divieto di licenziamenti in due tempi (fino al 30 giugno 2021 il blocco generalizzato e fino al 31 ottobre 2021 solo per le imprese destinatarie dell'assegno ordinario o della cassa in deroga). Anche in questo caso, infatti, il Governo ha stabilito una correlazione diretta ed un rapporto di corrispettività tra la durata del blocco dei licenziamenti e quella del periodo in cui gli ammortizzatori sociali saranno fruibili da parte delle imprese. Un equilibrio delicato che sarebbe inevitabilmente alterato da un'eventuale estensione del blocco dei licenziamenti anche alla categoria dirigenziale: i costi di tale estensione, infatti, in assenza di ammortizzatori sociali a copertura, sarebbero posti ad esclusivo carico delle aziende.

Il Tribunale di Roma, inoltre, formula una critica ulteriore ad uno dei principali argomenti a sostegno dell'estensione del divieto di licenziamento ai Dirigenti, ovvero l'applicabilità a questi ultimi della disciplina dei licenziamenti collettivi, sottolineando una distinzione fondamentale tra le fattispecie del licenziamento individuale e collettivo: nel primo caso, infatti, il dirigente è l'unico destinatario di un recesso individuale; nella seconda ipotesi, invece, il medesimo sarebbe coinvolto in una procedura di recesso collettivo che riguarda anche altri dipendenti.

Un ulteriore spunto di riflessione viene, infine, offerto dal Giudice capitolino con il riferimento ad una possibile mancanza di coerenza, sotto il profilo costituzionale, tra l'eventuale estensione del blocco dei licenziamenti anche ai Dirigenti e la libertà di iniziativa imprenditoriale. Non vi è dubbio, infatti, sul fatto che una delle più severe difficoltà incontrate del Governo durante la fase di decretazione d'urgenza sia stata quella di preservare il difficile equilibrio tra le garanzie costituzionali.

Un'interpretazione fortemente estensiva dell'art. 46 del Decreto Cura Italia rischia, infatti, di essere causa di una eccessiva compressione della libertà di impresa tutelata dall'art. 41 Cost. Estendere ai Dirigenti il divieto di licenziamenti in nome di una tutela ad oltranza del principio di uguaglianza presidiato dall'art. 3 Cost. realizzerebbe, cioè, un sacrificio non giustificato per le aziende, che si vedrebbero sia limitate nella propria libertà di iniziativa imprenditoriale che, al tempo stesso, inopinatamente gravate del costo del lavoro da sostenersi a causa dell'obbligo di conservazione delle posizioni dirigenziali senza una corrispettiva possibilità di accesso agli ammortizzatori sociali.

 

Paola Polliani, Partner, Diritto del lavoro e delle relazioni Industriali

paola.polliani@franzosi.com