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10 marzo 2021

Corporate e Business Law

Annullamento e risoluzione del contratto di acquisto di partecipazioni sociali per dolo, aliud pro alio e presupposizione.

Con sentenza n. 907/2020 il Tribunale di Milano si è pronunciato in materia di annullamento e risoluzione di un contratto di acquisto di partecipazioni sociali.

Nel caso di specie, l’attore aveva chiesto nei confronti del convenuto l’annullamento o la risoluzione del contratto di acquisto del 6% del capitale sociale di una società a responsabilità limitata. L’accordo di acquisto delle azioni comprendeva al contempo la possibilità di fare assumere il figlio dell’attore in una società del gruppo. Quest’ultima, ritrovatasi successivamente in “condizioni di estrema sofferenza”, aveva poi chiuso lo stabilimento e conseguentemente licenziato il ragazzo. Le richieste presentate all’organo giudicante erano le seguenti:

i) prospettata l’incongruità del prezzo di cessione delle azioni rispetto al patrimonio netto risultante dal bilancio della società, annullamento del contratto per dolo sull’assunto che il convenuto avrebbe intenzionalmente offerto all’attore “una rappresentazione alterata dei presupposti di fatto rilevanti per la determinazione del prezzo” e che l’entità della quota compravenduta – “cogliendolo di sorpresa” – gli sarebbe stata comunicata soltanto al momento della stipulazione della cessione;

ii) risoluzione del contratto basato sulla contestazione di un aliud pro alio datum (ossia consegna di un bene completamente diverso da quello venduto) poiché il valore delle azioni sarebbe stato determinato senza una previa relazione sulla fattibilità e sul valore dei progetti industriali delle società del gruppo, i quali sarebbero risultati privi di fondamento tecnico;

iii) annullamento in base all’istituto della presupposizione, in quanto il contratto doveva ritenersi altresì “subordinato alla condizione non espressa” dell’assunzione del figlio dell’attore, sull’assunto che sin dal momento della sottoscrizione del contratto di lavoro vi sarebbero stati già i presupposti per il successivo licenziamento che, pertanto, sarebbe stato preordinato.

Il Tribunale ha rigettato tutte le domande proposte dalla parte attrice. 

Più specificamente, rispetto alla domanda di annullamento, secondo i giudici i fatti esposti non hanno configurato un raggiro, tanto più in considerazione della riconosciuta professionalità imprenditoriale dell’attore, riscontrabile anche dal modo in cui si erano svolte le trattative, e della consulenza che lo stesso aveva ricevuto da un professionista di fiducia per tutto il corso delle trattative. Ciò ha consentito ai giudici di escludere che l’attore potesse avere concluso il contratto per suggestione, ingenuità o disinformazione: se l’attore “si dolse poi delle condizioni accettate non può che imputarlo a se stesso”.

In secondo luogo, la richiesta di risoluzione sulla base di un aliud pro alio non è stata accolta poiché la convenuta, oltre ad illustrare e documentare il valore attribuibile alle società del gruppo, ha dato prova della stipula di altre tre analoghe cessioni a soggetti di incontestata competenza imprenditoriale a fronte di corrispettivi che non si discostavano in modo significativo dal prezzo versato dall’attore.

Infine, in merito alla questione relativa alla presupposizione, la richiesta di annullamento non è stata accolta perché il contratto di apprendistato è stato effettivamente stipulato con il figlio dell’attore e il rapporto ha avuto durata di due anni fino al licenziamento avvenuto per “giustificato motivo oggettivo”, dunque non per causa imputabile al datore di lavoro. La “preordinazione” al licenziamento, dedotta dall’attore, è stata pertanto ritenuta infondata.

Il materiale presente in questo articolo non copre tutti􀆫gli aspetti􀆫degli argomenti affrontati. E' solo a scopi informativi e non costituisce, né deve essere inteso, come consulenza o parere legale.